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Il professor Zurli

Il professor Zurli e il Basket umbertidese


Il professor Zurli e il Basket umbertidese


(A cura di Fabio Mariotti)


A pochi giorni di distanza dall’intitolazione al prof. Angelo Zurli del “playground delle Garibaldi”, più conosciuto come campo scoperto delle scuole medie, intendiamo ricordarlo anche noi riportando le parole con cui Mario Tosti, Antonio Cancian e Federico Sciurpa lo hanno ricordato nel Calendario storico di Umbertide 1998 e nel libro “Ippippurrà”  dello stesso Federico Sciurpa...


Il professor Zurli

Il professore sembrava immune dal tempo, come una statua, non potendosi immaginare nel suo corpo atletico né l'immaturità dell'adolescenza, né la decadenza della vecchiaia.



La sua figura era scolpita secondo una geometria di poche rette essenziali: l'orizzontale delle clavicole, replicata nelle sopracciglia, negli zigomi marcati, nei segmenti dei baffetti; la perpendicolare delle vertebre a piombo, ripresa - con inclinazione decrescente - dal mento, dal naso affilato e dalla fronte ampia.



A compensazione della sconfitta subita, aveva paradossalmente emulato - in una sorta di contrappasso positivo - le sembianze dell'ufficiale inglese vincitore, di cui era quasi diventato prototipo, nel portamento, nell'eleganza, nel rispetto delle regole tradizionali: un gentleman.


Le peripezie cui era stato costretto avevano lasciato impronte profonde nel suo carattere: del militare in Libia ed Etiopia aveva conservato il rigore e l'autorevolezza, del colonizzatore a Tripoli lo spirito di iniziativa e la capacità di adattamento, del prigioniero nel campo indiano la perseveranza e l'orgoglio represso.



Angelo Zurli ha dato il meglio di sé come educatore nella scuola e nello sport, insegnando ginnastica, convinto e determinato nel trasformarla da parentesi effimera di rilassamento a strumento di equilibrato sviluppo, del corpo e della mente, funzionale allo sport ed alla vita.



l professore ha insegnato con passione ed orgoglio, senza complessi d'inferiorità; con rigore e severità, scanditi dai suoi modi militareschi; con competenza e modernità, trattando l'anatomia, la funzionalità del corpo, l'alimentazione; con impegno diretto (alle soglie della pensione, con tre bracciate riusciva in un attimo ad issarsi in cima alle corde, incurante del fiatone che cercava di dissimulare con lunghi silenzi); era esigente, ma comprensivo quando i risultati non erano proporzionali alla volontà. I suoi allievi perderanno gradualmente 1'efficienza del proprio corpo, anche se con l'esempio di dignità dimostrata dal professore, ma difficilmente potranno dimenticare i valori della lealtà e della solidarietà nel gruppo, imparati da Angiolino.


Mario Tosti



Un canestro "doppio"

In una fredda giornata d'inverno del 1965, il Basket Fratta Allievi (età 14-15 anni) era in trasferta per una importante partita di ammissione alla fase interregionale. A1 ristorante, i ragazzi si accorsero che a fine pranzo Silvano Palazzetti, detto il "Migno", beveva a piccoli sorsi e con evidente piacere da una bottiglia che aveva portato con sé.




I compagni segnalarono la cosa al loro allenatore, il prof. Zurli, che, con un largo sorriso li tranquillizzò, dicendo che il "Migno" era un ragazzo di campagna abituato a bere e un goccetto, col freddo che era, poteva far bene.

Durante la partita, tutti i ragazzi che erano in panchina, a turno, presero a rientrare nello spogliatoio e ne tornavano allegri e riscaldati!


La bottiglia del "Migno" conteneva ottimo vinsanto e venne totalmente scolata. La partita fu persa di un punto, e il prof. Zurli, contrariato e allusivo, rampognò i giocatori senza demoralizzarli: "Faremo ricorso e lo vinceremo, perché tutte e due le squadre hanno tirato nello stesso canestro!"

L'insuccesso non ebbe conseguenze. Il campionato fu vinto largamente e il Basket Fratta disputò la prima fase interregionale della sua storia contro la Stella Azzurra di Roma.


Dalla rubrica “Canajole” del Calendario storico di Umbertide 1998


L'ufficiale-gentiluomo del basket


Antonio Cancian, uno dei fondatori e indimenticato giocatore del Fratta, ha scritto di Angelo Zurli su “Informazione Locale” di marzo 2010.


Fisico e temperamento mediterraneo (carnagione e capelli scuri, baffetti al Clark Gable, sanguigno, talvolta incazzerreccio, fortemente dignitoso) e aplomb britannico (nella cura dell'abbigliamento, nell'atteggiamento, nella formalità dei rapporti interpersonali).




Le belle donne, la pallacanestro, le auto e la caccia erano le sue passioni, in rigoroso ordine di preferenza. Da quando si è diplomato (1925) e fino ai 40 anni, la sua vita è stata caratterizzata da numerose esperienze professionali, sportive e militari, culminate con la cattura a Tobruk (1941) da parte degli Inglesi e con la conseguente lunga prigionia in un campo di concentramento ai piedi dell'Himalaya. Tornato in patria, riprende l'insegnamento di educazione fisica e comincia a fare della pallacanestro un'attività didattica e formativa. Questa è l'immagine "storica" del prof. Angelo Zurli.



Ma appena parliamo di basket, allora si entra nella leggenda. Non importa se ad Umbertide la pallacanestro già si giocasse sin dagli anni '30; non importa se il Professore lasciasse spesso a desiderare in quanto a conoscenze tecniche; non importa se, dopo di lui, si sono avvicendati molti altri allenatori, sicuramente più competenti: per tutti noi che abbiamo vissuto quegli anni, la "nostra" pallacanestro è nata con il prof. Zurli ed ancora oggi il prof. Zurli è la pallacanestro: una simbiosi senza "se" e senza "ma".


Il suo amore per il basket era vero ed intenso, quasi sempre vissuto con un forte coinvolgimento emotivo. Ed a tale proposito è significativo un aneddoto che mi piace raccontare. Eravamo quasi al termine di una partita.



Noi eravamo in vantaggio, ma gli avversari ci stavano rimontando con estrema decisione ed efficacia. Il Professore, dalla panchina, chiama un time out e (nell'alone di fumo dell'ennesima sigaretta), ci strapazza di brutto: "State perdendo la testa! Dovete stare calmi! Ragionate..! La partita la vinciamo solo se manteniamo la calma, capito?!" Torniamo in campo e realizziamo subito due canestri.


Mi volto verso il Professore, sicuro di riceverne un gesto o una parola di approvazione, e mi accorgo che... tiene fra le labbra due sigarette accese! Eh sì, per lui il basket è stata un emozione che è continuata anche dopo aver abbandonato l'attività: quando, ormai settantenne, capitava al palazzetto e il prof. Bico lo invitava a sedersi sulla poltrona a lui riservata ai bordi del parquet, diceva sempre: "Guardo solo il primo tempo, perché il secondo non lo reggo…”.


Eppure, nonostante la forte tensione, non usciva mai dalle righe di quella signorile compostezza con cui sapeva rispettare i propri giocatori, gli avversari, gli arbitri: la stessa signorilità che, unita a rare doti di disponibilità e comprensione, lo ha fatto stimare ed amare da intere generazioni di studenti, nonostante il severo rigore con cui pretendeva che si rispettassero le regole della buona educazione.

Questo era il prof. Angelo Zurli.



E se ad Umbertide esiste una consolidata tradizione cestistica, se l'ambiente continua ad appassionarsi e se ci sono ancora tanti praticanti, la maggior parte del merito va a questo gentiluomo (nei modi e nei sentimenti), che è riuscito ad attrarre generazioni di ragazzi verso la pallacanestro, nella energica convinzione che questo abbia una valenza altamente formativa del carattere e della personalità ed abbia una sua alta dignità, purché praticato con sana passione e lealtà.

E, al di là di ogni retorica, è per questi insegnamenti che abbiamo il dovere di tener vivo il ricordo di personaggi come il nostro Professore.


Antonio Cancian




Il basket umbertidese nasce in Himalaya

“Colpo vincente” è il miglior film dedicato allo sport secondo il quotidiano "Usa Today". Addirittura è stato riconosciuto meritevole di venire preservato nel National Film Registry perché pellicola “culturalmente significativa”. Nella realtà il vero coach di Milan aveva 26 anni e si chiamava Marvin Wood, quello del film interpretato dal carismatico Gene Hackman di anni ne aveva almeno il doppio e rispondeva al nome di Norman Dale.



Un tipo di temperamento Dale, che si faceva buttare fuori spesso. Misterioso il suo passato: si sapeva solo che aveva colpito con un pugno il suo miglior giocatore ai tempi di Ithaca, il college che aveva portato al trionfo nello Stato di New York. Venne quindi radiato. Così per 12 anni aveva allenato in Marina e poi era uscito dal giro. Hackman-Dale ha l'occasione per rifarsi con Hickory, la sua ultima spiaggia, chiamato da un vecchio amico, il preside Cletus. Dale si occupa della squadra, presa ai minimi termini e depressa per la morte del vecchio coach, e fa anche l'insegnante di educazione fisica



questa è una licenza del film, succedeva cioè nella fittizia Hickory, perché alla Milan High School il tecnico oltre ad essere giovane aveva preso il posto da due anni di un coach popolare come Herman Snort Grinstead che gli amministratori della scuola avevano licenziato in tronco. Motivo? Aver ordinato senza autorizzazione le nuove divise da gioco.

La figura di Dale, a pensarci, è più vicina alla realtà della Fratta che a quella del paesino dell'Indiana. Lo storico allenatore umbertidese, quello capace di tirare su generazioni di ragazzi, il pioniere, “l'iniziatore”, è infatti uno sulla mezza età, reduce da una vita avventurosa. Fa anche l'insegnante di educazione fisica nella scuola del posto. Uno che ha metodi di allenamento pure da film.



I modi sono certo diversi da quelli di Dale: questo di Umbertide è un signore nello stile. Sempre e comunque. Un tecnico dal rapporto disteso con i “suoi”, rispettoso degli avversari, educatissimo in campo e fuori, non un grintosissimo e sanguigno allenatore che si fa cacciare come quello di “Colpo vincente”. Il “nostro” si chiama Angelo Zurli. Sir Angiolino Zurli. Lo abbiamo già incontrato. Nel '64, quando nasce il BC Fratta, Zurli ha quasi 60 anni (classe 1906). Ma la sua casa, la sua passione è quella palestra delle elementari, il cortile che costeggia via Roma, dove insegna a tirare, marcare e scivolare, diciamo a vivere, a tanti ragazzotti. A loro, mocciosetti, trasferisce ciò che ha appreso non in qualche corso, in qualche scuola o nell'esperienza nei team blasonati, ma in prigionia. Capito bene. II coach torna sano e salvo dai campi di concentramento, ma malato di pallacanestro. Gli inglesi lo catturano infatti a Tobruk nel '41 e lo spediscono prigioniero in Palestina, poi in India, alle pendici dell'Himalaya. II posto si chiama Yol, Kangra Valley, dovel''umbertidese rimase per cinque anni.



Diciamocelo, lì non è il massimo per giocare a pallacanestro. Non c'è un posto piano, il terreno è adatto per l'arrampicata o per la corsa in salita invece che per il basket. Oddio, l'importante è raccontarla, ma il tempo va comunque ingannato e Zurli e gli altri si danno al basket, anche senza sapere che cos'è, oltre che all'allevamento dei conigli. I canestri sono sostenuti con tabelloni fatti di tavole, il campo è ripido. Siamo nell'India settentrionale, in un piccolo paese. È lì che nasce la pallacanestro a Umbertide. In giorni maledetti, disperati, dove un uomo pensa di aver perso la propria dignità, addirittura la propria esistenza. Figuriamoci il futuro. È invece sotto le cime più alte del mondo che comincia un “domani”- anche divertente per tanti, un paese intero - insieme e grazie a sir Zurli, ovvio.

I campi di Yol occupano 300 ettari di terreno sopra una pietraia scoscesa ai piedi di un colosso: il monte Nodrani. Dietro, a corona, spuntano le cime più alte dell'Himalaya. La catena montuosa sopra Yol si chiama Dhauladhars, sotto c'è la pianura del Punjab. Kangra è il nome del distretto. I campi dove Zurli è prigioniero sono quattro, si conta ci siano passati diecimila italiani, tutti ufficiali di ogni arma e corpo. Erano accalcati in baracche costruite sopra i resti di un villaggio sepolto da una parte di montagna franata nel devastante terremoto del 1905. Anche il celebre giornalista Nino Nutrizio che poi diresse il quotidiano La Notte di Milano, il pittore Oscar di Prata e Carlo Rostagno (anche lui come Zurli fatto prigioniero a Tobruk) che diventerà comandante generale della guardia di finanza negli anni Cinquanta, finirono internati nel campo che durante la stagione delle piogge era una palude, invaso dall'acqua, pericolosissimo. Gli inglesi, è risaputo, non sono stati mai teneri con i prigionieri. Questo di Yol però, è passato alla storia come un campo a “misura d'uomo”.



È una sorta di camp di filo spinato - così ci intendiamo meglio - dove gli internati giocano anche a calcio, pallavolo, tennis, fanno atletica e pugilato. E ancora: dipingono, disegnano, fanno sculture, si occupano di letteratura, poesia, prosa, sceneggiatura. Si tengono corsi d'inglese, canto e fumetto. C'è il cinema. Ci fermiamo qui. Su quello che succedeva ai piedi dell'Himalaya esiste un reportage fotografico eccezionale, realizzato da uno dei prigionieri, anche lui beccato a Tobruk: Lido Saltamartini (coetaneo di Zurli, classe 1906). Le foto le fece con una minuscola macchina fotografica costruita con materiale di recupero. Si parla di una scatola metallica di sigarette Waltham's, lo stagno ricavato da un tubetto di dentifricio “McLeans”, l'unico di stagno tra gli altri di piombo, la candela avuta in prestito dal cappellano con promessa solenne di restituzione immediata al rientro in Italia, il cannello ferruminatorio ricavato da una scatola di salsicce di soia, una lente minuta (4 mm).

Il prigioniero scattò duemila fotografie che venivano nascoste all'interno di sigarette svuotate dal tabacco e nei tubetti di dentifricio; di queste 500 andarono perse mentre le altre, conservate con cura, sono state raccolte in un libro: 10.000 prigionieri in Himalaya - Tesori, orsi, idee, fughe. Il libro non è in vendita ma si può richiedere all'associazione “10.000 per 1'Himalaya” con i soldi che verranno devoluti all'aiuto di bambini sordi e ciechi. Adesso a darsi da fare è Olimpia, la nipote di Lido.



A Yol vivono oggi 10mila persone, invece che prigionieri che erano tutti italiani. Insomma, nel lembo estremo a nord dell'India in odore di Tibet dove era difficile solo pensare di arrivare (da Tobruk, poi...) - con gli inglesi a fare da guardia e forse anche a sgomitare in qualche improvvisata partita - tutto immagineresti meno che giocare a basket.

Ma l'allenamento e le battaglie in condizioni difficili temprano. Così quando torna a Umbertide nel 1948, Zurli riprende a fare l'insegnante e può soprattutto forgiare gruppi di cestisti. Lo sport è il suo tarlo da sempre. È stato un buon atleta, ha praticato diverse discipline da ragazzo a cominciare dall'atletica (anche ginnasta, maestoso lanciatore di disco e giavellotto, straordinario “arrampicatore” di corde), militare in Libia e in Etiopia nel '35 va a cavallo. I ragazzi lo seguono: sa essere autorevole e amichevole allo stesso tempo. Gli piace anche vincere, insieme a fumare, quello sì. Sempre. "A Orvieto chiama il minuto di sospensione, andiamo verso la panchina e ci parla con due sigarette accese in bocca" dicono i prediletti. Quelli cioè, nati a inizio degli anni Cinquanta. Quelli per i quali lui stravedeva, gli sembravano speciali. Un gruppo che comincia con Staccini, passa per Lamponi, Palazzetti, Montanucci, Betti, Caldari, Gagliardini, Sergenti e Vibi. Il Migno (Palazzetti) si è fregiato anche di una consegna di rigore: tenere il cane da caccia del prof, Ilka. Era la “cocca”, razza pointer che “il mago” era british anche nella scelta dei levrieri. Ne aveva altri due che dopo pranzo, con il grembiule per non sporcarsi, accoglieva sulle ginocchia mentre si gustava l'intramontabile Fernet. La magia frattigiana continua poi per Zurli, Bucaioni, Fiumana, Villarini e Codovini. La lista è lunghissima ma sono questi i ragazzini che dal 1967 al 1972 vincono tutto. E quelli dopo “parecchio”.

“Una volta in palestra c'erano tre corde appese al soffitto per gli esercizi” ricorda con un sorriso Guido Lamponi e Zurli lega, in alto, quelle laterali alla centrale. Poi ci dice: “tirate, tirate dentro”. “Facciamo come ci dice ma non capiamo niente di quell'esercizio; lo facciamo e basta”. È il momento che gli allenamenti passano dalla mitica palestra delle elementari a quella di viale Montessori. I canestri non ci sono ancora, si stanno montando. “Emozione, emozione grande quando li abbiamo visti montare. L'allenamento successivo ai tiri alle corde improvvisate prendo il pallone e tiro. Ciuff, ciufff, un canestro dietro l'altro, andavano tutti dentro. II professore aveva messo quelle corde a 3,05”.

Il prof nel 1971 vince una fase regionale dei Giochi della Gioventù con la seconda A. La squadretta umbertidese si fa valere anche a Roma dove trionfa in tre partite su sette. Una squadra simbolo del suo allenatore: 9 su 10 dei ragazzi abitano in via Roma, la strada dell'unico campo da basket che c'è a Umbertide. Il campo dove Zurli tutti i giorni a qualsiasi condizione meteo è presente ad allenare.



È anche un testamento sportivo quella squadra perché l'anno successivo, a 66 anni, il professore si ritira dall'attività. Il Fratta lo fa subito presidente onorario, gli dà un posto a bordo campo anche al palazzetto dello sport dove il mago guarda il riscaldamento, scruta i giocatori, ne segue i movimenti e sembra appuntarne il talento. Vede anche il primo tempo delle partite. Il secondo no, ché dice di non poterlo reggere. Se ne è andato a 84 anni, nel 1990. Vive nel volto, nei gesti e nei pensieri di tanti. Non è retorica.


Federico Sciurpa


Dal Libro “Ippippurrà” di Federico Sciurpa – Gruppo Editoriale Locale – Ottobre 2013, Digital Editor Srl - Umbertide

23/10/22

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