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LA BATTITURA

LA BATTITURA

LA BATTITURA


Fra il completamento del "barcone" del grano e 1'inizio della battitura passavano anche svariati giorni: questo tempo dipendeva dalla disponibilità della trebbiatrice. La battitura veniva programmata: si studiava il percorso che, podere per podere, avrebbe fatto la trebbiatrice e il tempo necessario per la trebbiatura.

Queste macchine, fino agli anni Cinquanta, venivano trainate dai buoi su percorsi, a volte, molto accidentati; poi fecero la loro comparsa i primi trattori cingolati. Nel territorio di Montecorona, proprietaria della "macchina da batte" era la famiglia Porrozzi del Buzzacchero, che provvedeva a "battere" anche il grano di quei pochi coltivatori diretti del posto.

Il giorno della, battitura era un giorno di festa: era il giorno della ricompensa! Una volta arrivata sull'aia, la "macchina da batte" veniva collocata a fianco del "barcone" e livellata, per evitare che potesse disperdere del grano. Finita tale operazione, si metteva in tensione la grossa cinghia tra la puleggia della trebbiatrice e quella della macchina motrice. Dietro la trebbiatrice veniva montato il "portapaglia", una specie di scala mobile che, con il suo sistema di rastrelli trainati da cinghie, trasportava la paglia nel pagliaio.

L'inizio veniva segnalato con il suono della sirena.

Prima della trebbiatura del grano, si eseguiva quella dell'avena o dell'orzo, prodotti che servivano per l'alimentazione del bestiame. Ogni volta che si passava alla battitura di un'altra coltura, si doveva pulire molto bene sia la macchina che l'aia, in quanto c'era il rischio che i semi si mescolassero fra di loro.

In un podere, dove il raccolto poteva arrivare ai 100 quintali, sull'aia si potevano contare al momento della trebbiatura anche trenta persone. Il personale era suddiviso in diversi gruppi: c'erano gli addetti al funzionamento della macchina, "i macchinisti", al pagliaio, alla pula, al barcone ed alla raccolta del grano. Inoltre venivano scelti due o tre uomini forti con il compito di trasportare nel magazzino le balle di grano, che pesavano un quintale.

Nell' ‘800 il grano veniva misurato con degli appositi recipienti: lo "staro" conteneva cinquanta chili di frumento, la "mina" ne conteneva venticinque mentre la "coppa" ne conteneva cinque. Solo verso la fine del secolo fecero la loro comparsa la bilancia e la "stadèra".

La paglia serviva per le stalle; veniva raccolta dalla parte posteriore della "macchina da batte" e trasportata nel pagliaio, sorretto dal "metulo", un lungo palo di legno duro, quasi sempre quercia, conficcato nel terreno a una certa profondità e perfettamente a piombo. Per erigerlo, ci volevano molte persone. La paglia veniva gettata intorno al "metulo" dal portapaglia, veniva accomodata da due o tre persone e, quando si raggiungeva una certa altezza, le si dava una pendenza in maniera tale che la pioggia potesse scorrere senza impregnarla.

Mi ricordo che, per proteggere il pagliaio dal vento, Renato del Corbatto disponeva sullo stesso delle corde, legate a grosse pietre che fungevano da zavorra.

La pula, espulsa dalla macchina, veniva raccolta ingranditeli e portata nei "pulai"; durante l'anno veniva messa a bagno ed impiegata come alimento per le vacche ed i buoi.

Quando si era raggiunto il quantitativo di cento quintali di battuto (grano-avena-orzo), la sirena della macchina suonava per festeggiare.

Nell'aia generalmente lavoravano solo gli uomini; le donne invece restavano in casa impegnate a cucinare - come era usanza - le tagliatelle con il sugo d'oca e l'oca in porchetta cotta al forno; come dolce si serviva la zuppa inglese con il vinsanto.

In tutto il territorio montecoronese, per il pranzo e la cena della battitura, ci si avvaleva spesso dell'aiuto di una cuoca, che dava consigli e dirigeva le donne di casa in cucina. La signora Armida Fratini in Mambrucchi veniva chiamata da quasi tutte le famiglie coloniche di Montecorona per organizzare il tutto. Forte dell'esperienza culinaria acquisita presso la famiglia Marignoli, questa signora era molto preparata e veniva invitata spesso anche per preparare i banchetti nuziali.

A1 momento del pranzo e della cena, i macchinisti, il fattore, il guardiano ed il capofamiglia erano fatti accomodare nel tavolo migliore, appositamente apparecchiato ed a loro era riservato un trattamento di riguardo. Nel pomeriggio le donne portavano agli uomini nell'aia la merenda, composta da "torcolo" (dolce a forma di ciambella) e vinsanto.

Il guardiano accompagnava la trebbia per tutto il periodo della battitura; doveva essere sempre presente, in special modo al momento della divisione del grano fra il contadino ed il padrone: in tale contesto faceva le veci di quest'ultimo.

Fino agli anni ‘50 il raccolto veniva diviso a metà; in seguito venne introdotto il "tre per cento" in più a favore del contadino, che arrivò più tardi a percepire il "58 per cento".

Le spese per la battitura erano a carico del padrone del podere e pagate solitamente con il grano: tale costo veniva chiamato "molenda". I proprietari della "macchina da batte" ne richiedevano una percentuale che veniva stabilita in base alla quantità ed alla qualità del grano battuto.

Visto l'elevato numero dei poderi e la mancanza dei mezzi per spostarsi, ricordo che mio padre, in questi periodi di trebbiatura, mancava da casa anche per intere settimane.

La battitura, infatti, incominciava al sorgere del sole e finiva quando faceva buio: di conseguenza, per coloro che accompagnavano la trebbia, non c'era il tempo materiale per tornare a casa.

Esistevano due trebbie, "la grossa" e "la migna" (la piccola); la prima veniva spostata nei poderi dove il raccolto era maggiore (quelli del piano); la seconda invece lavorava nei poderi di collina dove il raccolto era inferiore, a volte al limite della sopravvivenza, ma sempre importante per quelle povere famiglie.

Qualche annata, in certi poderi della collina, il raccolto era così irrisorio che il tempo necessario a piazzare la trebbia nell'aia era maggiore di quello impiegato a trebbiare. Nel podere de "Il Moretto", a volte, non si raggiungevano nemmeno i dieci quintali di grano, però l'oca in porchetta per il pranzo della battitura non mancava mai: dignità della gente di Montecorona.

Il giorno di battitura era lungo e faticoso; l'arsura e il caldo venivano un pò alleviati dall'acqua e dal vino che venivano serviti per lo più dai bambini. L'invenzione di nuovi macchinari, quali la pressa per imballare la paglia e la pula, fece sì che il lavoro diventasse meno pesante. Verso la metà degli anni Settanta, comparvero le prime mietitrebbiatrici, che rivoluzionarono la tecnica di raccolta e trebbiatura del grano, purtroppo solo per i poderi più comodi e non per quelli delle colline.

Nel momento della battitura poi arrivavano anche il sagrestano ed il custode del cimitero a raccogliere una piccola parte di grano, in cambio dei servizi che gli stessi svolgevano durante l'anno a favore della comunità. Un lungo suono di sirena annunciava la fine della giornata lavorativa.


di Giuliano Sabbiniani


(Dal suo libro “Montecorona – la Tenuta e la sua gente” – gruppoeditorialelocale, Digital Editor srl, Umbertide - 2021)


LA BATTITURA
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