history and memory
IL TABACCO
LA COLTIVAZIONE DEL TABACCO NERO
LA COLTIVAZIONE DEL TABACCO NERO
La coltivazione del "tabacco nero" ha caratterizzato per decenni il paesaggio di Montecorona, contribuendo in maniera sostanziale all'economia delle famiglie contadine.
Essa veniva effettuata in quei poderi della Tenuta dove era possibile una buona irrigazione; la manodopera impiegata era quasi esclusivamente femminile, salvo alcuni lavori pesanti svolti dagli uomini.
A febbraio si preparava il semenzaio in cui, dopo trenta giorni circa, sarebbero nate le piantine. Esso era oggetto di cure assidue: veniva coperto e mantenuto costantemente umido.
Era allestito al riparo dai venti freddi, in vicinanza di muri; l'esposizione soleggiata era condizione indispensabile per la buona riuscita dello stesso in quanto, per la germinazione del seme, era necessaria una temperatura di almeno 6/8 gradi e durante tale periodo ci si augurava non ci fossero sbalzi di temperatura molto accentuati.
Alla fine di maggio si iniziava il trapianto delle piantine : era quasi un rito, al quale partecipava tutta la famiglia.
Il più esperto della famiglia stendeva sul terreno, già pronto e livellato, lunghe corde - in genere 5 0 6 alla volta - parallele tra loro e ad una distanza di circa 60 centimetri l'una dall'altra. I capi venivano fissati a dei pali conficcati a terra. Lungo tutte le corde - a volte superavano i 100 metri - erano presenti dei fiocchi, posti sempre a 60 centimetri l'uno dall'altro, che indicavano il punto in cui andavano collocate le piantine. In questa maniera si formava una specie di reticolato regolare ed era facile per i controllori dei Monopoli di Stato conteggiare il numero di piante presenti in quel campo.
Le donne, armate di zappetti, trapiantavano le piantine (che ormai avevano raggiunto l'altezza di otto-dieci centimetri) e subito dopo le innaffiavano con un po' d'acqua, prelevata da una botte posta sopra una treggia trainata dai buoi.
Quando le erbe infestanti cominciavano a crescere, le donne procedevano alla zappatura per eliminarle e rincalzavano le piantine, che ormai avevano raggiunto l'altezza di quindici-venti centimetri. In quell'occasione le si concimava e si controllava la presenza di eventuali parassiti come i "vermi", che rodevano il colletto delle piante e ne intaccavano le radici: in tal caso venivano prontamente sostituite.
Giunte ad una altezza di circa cinquanta centimetri, le piante venivano "cimate", cioè se ne toglieva la parte più alta per favorire lo sviluppo delle foglie rimaste sul gambo.
Sulla pianta rimanevano tre o quattro corone di foglie; ben presto la stessa reagiva con l'emissione di germogli ("cacchi") che dovevano essere tolti, lavoro questo sempre riservato alle donne e ai bambini.
La raccolta iniziava verso la fine di settembre, partendo dalle foglie della corona più bassa; quelle alte erano più grandi e più pregiate. Il tabacco, raccolto in fasci, veniva predisposto ai bordi del campo, caricato nei carri o sulle tregge, per essere portato all'essiccatoio, situato vicino alla casa colonica. Esso presentava la struttura in laterizio, la copertura in legno e manto in coppi; le aperture erano poste nella parte alta del prospetto e servivano per la fuoriuscita controllata dell'umidità emessa dalle foglie in fase di asciugatura.
Le foglie di tabacco venivano allineate e congiunte con un filo una ad una, tutte nello stesso senso, alla base della costola: con la mano sinistra si teneva un grosso ago e con l'altra vi si infilzavano le foglie; quando l'ago era pieno, queste venivano fatte scorrere sullo spago. Le filze pronte erano sistemate su pertiche di legno ("stanghe"), che venivano collocate sui telai predisposti negli essiccatoi. Periodici controlli erano necessari per verificare l'andamento dell'essiccazione.
Il tabacco allo stato secco veniva poi venduto ed il suo valore determinato da una perizia; il prezzo variava in base alla qualità dello stesso.
La lavorazione del tabacco dei primi anni del Novecento ha lasciato tracce e reperti nel montecoronese: gli essiccatoi. Oggi sono in stato di abbandono, ma restano lì sempre a testimonianza di un pezzo di storia del nostro territorio.
di Giuliano Sabbiniani
(Dal suo libro “Montecorona – la Tenuta e la sua gente” – gruppoeditorialelocale, Digital Editor srl, Umbertide - 2021)