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I CASTAGNETI

I CASTAGNETI

di Giuliano Sabbiniani


Fino a qualche decennio fa, esistevano a Montecorona stupendi castagneti perché la loro coltura è stata un elemento indispensabile nella vita degli abitanti del posto; veniva coltivata, in modo particolare, la varietà "pastorese", i cui frutti erano rinomati ed apprezzati in tutto il territorio dell'alta valle del Tevere. Si diceva che le prime piante di "pastorese" fossero state portate in questi luoghi, in occasione di importanti riunioni svoltesi all'Eremo, da frati camaldolesi provenienti da varie parti dell'Europa

I monaci furono fra i primi a capire l'importanza del castagno; per questo si pensa che all'Eremo dovesse esserci qualche alchimista appassionato di botanica, che avrebbe selezionato e diffuso la coltivazione di questa pianta, dal cui frutto si potevano estrarre medicinali e pomate.

Agli abitanti della collina erano stati assegnati, dall'I.F.I., dei piccoli appezzamenti di castagneti; averne in consegna uno significava allontanare lo spettro della fame. Infatti i frutti sono serviti per sfamare intere generazioni, utilizzati al posto del pane, quando esso veniva a mancare: da qui un detto popolare, secondo cui la castagna era "il pane dei poveri".

La cura del castagneto ed il suo mantenimento richiedevano conoscenze - un sapere - che contadini e "casaioli" si tramandavano di padre in figlio; alla sua cura erano legate lavorazioni tradizionali che coprivano tutto l'arco dell'anno.

Alla fine dell'inverno i castagni venivano potati; il mese di aprile era destinato agli innesti che garantivano la qualità del frutto, in quanto la pianta del castagno nasce selvatica.

Alla fine di agosto si iniziava la pulitura del castagneto, preparando il terreno per la raccolta: lo si liberava dalle sterpaglie e lo si puliva bene, come se fosse un pavimento.

Ad ottobre iniziava la raccolta, che coinvolgeva tutta la famiglia: era, senza dubbio, il lavoro più atteso della stagione, in quanto forniva la certezza di potersi sfamare per un lungo periodo dell'anno.

Mi ricordo che Aronte Pieroni, di professione taglialegna e "casaiolo", organizzava una vera e propria vigilanza: costruiva dei capanni di frasche per starci dentro e vigilare che nessuno gli rubasse le castagne.

I frutti, caduti spontaneamente a terra, venivano raccolti mentre quelli che rimanevano dentro i ricci sull'albero, venivano battuti con una pertica. Questo metodo era utilizzato per accorciare i tempi della raccolta; infatti gli uomini, quando vedevano i ricci che avevano "la bocca aperta", capivano che era ora di farli cadere, battendoli con pertiche spesso fatte sul posto.

I ricci, che cadevano ancora chiusi, venivano invece ammucchiati in uno spiazzo del castagneto e ricoperti di frasche e legna; in questi "pellicciai" rimanevano fino a dicembre. L'umidità poi li faceva aprire e si raccoglievano delle buonissime castagne fresche, pronte per essere cucinate e mangiate in occasione delle feste natalizie. Il valore commerciale di queste castagne era superiore di quelle raccolte ad ottobre, in quanto considerato un frutto fuori stagione.

Le castagne raccolte venivano portate a casa e la sera selezionate e separate in base alla loro tipologia: marroni, pastoresi, selvarine; le si divideva poi in base al calibro: quelle più piccole e quelle malate diventavano cibo per gli animali, le altre erano divise a metà con la proprietà e poi eventualmente vendute.

Esse venivano consumate per mesi grazie a particolari tecniche di conservazione: quella più usata a Montecorona consisteva nel metterle in acqua per almeno otto giorni, farle asciugare e conservarle in un luogo fresco.


(Dal suo libro “Montecorona – la Tenuta e la sua gente” – gruppoeditorialelocale, Digital Editor srl, Umbertide - 2021)


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