top of page

Fig. 1: Carta generale del territorio comunale di Umbertide con distinzione delle tipologie insediative (elaborazione creata sul modello realizzato dall’Associazione Pro Loco di Umbertide). I toponimi ivi riportati si riferiscono a quelli degli insediamenti trattati nella ricerca. 

Giugno

4 giugno: Liberazione di Roma...

3 giugno


Nasce la CGIL.


   A poche ore dalla liberazione della capitale, con “I Patti di Roma”, il mondo del lavoro ritrova la sua unità. Nasce un sindacato unitario: la Confederazione Generale del Lavoro. Vi aderiscono le forze antifasciste. Hanno firmato Giuseppe Di Vittorio per i comunisti, Achille Grandi per i cattolici ed Emilio Canevari per i socialisti.


4 giugno


Liberazione di Roma.


   Caduto il fronte di Montecassino e conclusa la battaglia di Nettuno, Roma, dopo un’occupazione durata 6 mesi, è liberata dalla V armata statunitense del settore tirrenico. I tedeschi hanno già abbandonato la città, avendo concordato un’uscita pacifica delle truppe da Roma con la mediazione del Vaticano ed il consenso delle componenti moderate della Resistenza.


La strategia degli alleati.


   Dopo la conquista di Roma, il grosso delle truppe alleate si è disposto a ventaglio per forzare la ritirata dei tedeschi: ad est degli Appennini, l’Ottava Armata comandata dal generale Sir Oliver Leese; ad ovest, la Quinta Armata del generale Clark.

   L’avanzata verso l’Umbria non trova rilevante opposizione da parte dei tedeschi.




Immagine n. 1: Liberazione di Roma il 4 giugno 1944


Gli schieramenti degli alleati in Umbria.    (3)


   L’VIII Corpo d’Armata britannico, comandato dal Generale Oliver Leese, ha il compito di avanzare lungo due linee di attacco.


A Est, alla sinistra del Tevere, opera la 10a Divisione indiana, comandata dal Maggiore Generale Denis Reid (detto “Lo sfregiato”), composta da sette battaglioni.

   Sul fianco opposto dell’Appennino che guarda a occidente, verso il lago Trasimeno, al di là di Monte Tezio e Monte Acuto, è impegnata la Quarta Divisione, composta da nove battaglioni.


5 giugno


Caduti umbertidesi.                               (30)


   Brunetti Celestino, 8° C.A. Artigliere, morto in Germania.


Trasferimento di poteri.


   Vittorio Emanuele III trasferisce i propri poteri a suo figlio Umberto di Savoia, nominandolo Luogotenente Generale del Regno e ritirandosi a vita privata.

   Il Governo, che dopo l'armistizio aveva seguito il re a Brindisi e poi a Salerno, torna nella capitale


6 giugno D-Day


Operazione Overlord (Signore supremo).


   In Normandia è scattata una delle più grandi invasioni anfibie di ogni tempo è messa in atto dalle forze alleate per aprire un secondo fronte in Europa ed attaccare direttamente la Germania: 5.000 navi, 1.300 aerei, due milioni di uomini.    La giornata si è chiusa con quasi 10.000 soldati alleati morti e 2.000 civili francesi uccisi dalle bombe. I tedeschi hanno lasciato sul campo 1.000 uomini.


8 giugno


Incarico di Governo a Bonomi.


   Finisce il secondo governo Badoglio. Umberto, insediatosi al Quirinale, ha affidato l’incarico di formare un nuovo governo ad Ivanoe Bonomi, anziano leader politico, già Presidente del Consiglio prima dell’avvento del fascismo.



Forze fresche.  (7)


    Gli alleati devono rimpiazzare le truppe stremate dagli scontri di Cassino e di Anzio.

   Perciò spostano a Venafro, in Molise, truppe finora impegnate sul fronte est, per addestrarle alla guerriglia in montagna, necessaria per operare nel nostro territorio.

   Fra gli altri, il 1° Battaglione Durham di fanteria leggera, al comando del tenente colonnello Vaux e alcuni reparti indiani del Commonwealth.

    A turno concedono ai soldati cattolici delle giornate di libera uscita a Roma in visita al Papa, per rasserenarne lo spirito. Per tutti, cattolici e non, organizzano delle escursioni a Napoli, per ritemprarne il corpo.



Immagine n. 2: da Pescara a Roma


13 giugno


Lancio del primo V1 tedesco.


    Un missile da crociera con carico di esplosivo di 860 kg, oltre il triplo di quello delle bombe sganciate su Umbertide, si è abbattuto su Londra.

   È la prima volta che questa arma segreta tedesca viene impiegata, come risposta allo sbarco in Normandia di appena sei giorni prima.



Morti umbertidesi.      

    (30)

   Nestri Alfonso, 151° rgt. F., internato nel Lager ‘Stalag I F’ presso Merseburg. Morto in prigionia in Germania, per malattia, è sepolto a Merseburg, ‘St. Maximi Friedhof’.



Ma anche nuovi nati.


   Mentre in Normandia è in pieno svolgimento la terribile battaglia dopo lo sbarco degli alleati, nelle nostre colline tre maschietti sono sbarcati su questo mondo, un giorno dopo l’altro: Antonio Giovannoni, Adriano Faloci, Lorenzo Mariotti. La vita continua,


14 giugno


A Campaola è venuta alla luce, con un parto difficile, una bambina. (8)


   La mamma Dorina aveva le doglie da ieri. Il marito e la sorella sono andati, perciò, ad Umbertide con un carretto per portare Valdinoci, il medico dell’ospedale, perché potesse assisterla. Mentre il dottore stava preparando il forcipe, si sono presentati dei partigiani per portarlo via, essendo lui un noto fascista. Ma il marito della partoriente si è opposto con tutte le forze, pretendendo che prima dovesse assistere la moglie.

   Il dovere di Ippocrate ha salvato il medico da guai peggiori! Alla fine è stata una festa per tutti. L’hanno chiamata Vera, forse per vincere l’incredulità che la vita possa davvero continuare in questo mondo impazzito.


18 giugno


Un nuovo governo.


   Bonomi ha costituito un esecutivo, nel quale sono rappresentati tutti i partiti del governo precedente.


Il treno.                                          (26)


   È stato soppresso l’esercizio della Ferrovia dell’Appennino Centrale lungo tutta la linea, da Fossato di Vico ad Arezzo.


Il generale Kesselring.    (25)


   Mentre coordina la ritirata a Nord di Roma, Kesselring contemporaneamente controlla lo sviluppo dei lavori di costruzione e rafforzamento della Linea Gotica, la nuova barriera difensiva principale sulla quale intende bloccare l'avanzata alleata prima dell'inverno.

    Il comandante tedesco ha bisogno di ulteriore tempo per completare le opere difensive sulla linea fortificata difensiva Albert (Follonica – Monte Amiata – Lago Trasimeno) per frenare gli alleati.



Fig. n. 3: La linea Albert


Un ospite straordinario a Polgeto.                            (1)


   Dal lago sono arrivate alcune cannonate dirette al castello: una è caduta vicino alla casa dei Ceccagnoli. Sopra la Valcinella, dei caccia tedeschi hanno attaccato una formazione di bombardieri alleati. Si sono sentite le pallottole fischiare e cadere sui campi ed in mezzo alla macchia.

   Nei giorni scorsi sono venute otto SS ad ispezionare il castello di Polgeto ed i dintorni, forse per verificarne il grado di sicurezza. Dopo qualche giorno, è arrivato un militare di alto grado. Ha preso alloggio nel castello della signora (Maria Garognoli) Guardabassi. La scorta si è sistemata sulla piazzetta antistante e nei campi vicini.


La presenza di soldati e l’approssimarsi della battaglia  ha consigliato gli abitanti di imboscarsi più lontano possibile, nell’attesa che passi la tempesta. Dal castello e dalla zona circostante si sono allontanate le famiglie dei residenti, oltre agli sfollati aggregatisi dopo il bombardamento. Si sono accampati  alla base della Valcinella. Dormono sul pagliericcio, ricoperti alla meglio. Altri hanno fatto un capanno, dove passano il giorno; la notte sono ospitati nella casa del Roscìno.

   “Uno degli ultimi giorni di giugno è mancato l’aceto per condire l’insalata. La Teresa (Bartolini) e l’Angelica (Baldoni), coetanee – vent’anni – e compagne di giaciglio, si sono dirette verso la loro casa   nel castello, che avevano abbandonato all’arrivo dei tedeschi , per prenderne un po’. Con troppa disinvoltura, perché si sa che vi è ospitato un capoccione tedesco in convalescenza. Anche

In paese si è sparsa la voce della presenza di Kesselring e del suo medico personale ai piedi di Monte Acuto.

   Davanti all’ingresso hanno trovato i soldati schierati in due file, i fucili in mano, con le divise un po’ più scure di quelle dei nostri militari. Sulla porta un bell’uomo, un omone, magro. Uomo maturo, non vecchio; sulla sessantina. Gli stivali su una divisa scura, come nera, con strisce rosse sui calzoni; cordoni dorati sul cappello a visiera, spalline dorate sul bordo, come sopra i polsi. Capelli tra il bruno ed il biondo. Accanto a lui altri ufficiali.

   Quell’uomo ha borbottato all’interprete qualcosa nella sua lingua, dando l’impressione di chiedergli: “E quelle due?”. Poi, rivolto alle due ragazze, in buon italiano ha chiesto: “Perché siete qui?”. Per nulla intimorita, la Teresa ha risposto che era venuta a casa sua a prendere l’olio e l’aceto per condire l’insalata.

   Con molta gentilezza, quell’uomo che tutti trattavano con tanto riguardo, ha avvisato la Teresa e l’Angelica di non frequentare quel luogo, troppo rischioso per ragazze come loro, a causa della presenza della truppa. “Avete corso un rischio grande. Signorine … è la guerra!”, ha soggiunto.

   Poi, nella sua lingua, ha impartito un ordine ad un soldato, che le ha accompagnate in casa, dove hanno preso l’aceto. Quando sono uscite, il personaggio, che era verso la stalla, le ha fermate: “Signorine … aspettate”. Ad un suo comando, un militare è entrato nel castello. Le ragazze hanno approfittato dell’attesa del suo ritorno per chiedere notizie della signora Guardabassi, che è anziana e vive nel castello insieme all’Ausilia (Coletti), la donna di servizio, ed a due dame di compagnia: l’Aida e l’Ettulia (Ugolini). Nel frattempo il soldato è tornato con una busta di cioccolatini, porgendola alle due intruse.

   “Li conosco, sono della Perugina: sono i nostri”, ha affermato con orgoglio la Teresa, dopo aver sbirciato dentro la busta.

   “Adesso è guerra … sono anche miei”, l’ha corretta l’uomo, posando una mano sulla spalla di entrambe. “Non lo rifate più. … Coraggio … perché la guerra sta per finire”, ha concluso, accompagnandole per una decina di metri verso l’uscita del castello.     Le ragazze si sono riavviate verso il loro rifugio, preparandosi alla strapazzata che avrebbero ricevuto dalle mamme per la loro sfrontatezza”.

   (Certo non avrebbero mai immaginato di parlare con il capo dell’esercito tedesco in Italia; di essere accarezzate dall’autore dei manifesti che hanno seminato il terrore in mezza Europa; di apprezzare i suoi consigli da babbo.

   Sembra impossibile, ma il demonio assume le sembianze di un uomo normale, di un gentiluomo, che ha dormito – sarà riuscito poi a prender sonno? – nel letto dell’Evelina, ha mangiato la torta sul panàro dell’Ettulia.

   [Forse nella pace agreste di Polgeto – per contrapposizione – Kesselring ha avvertito in anticipo la fine della guerra e della sua carriera. È sperabile che faccia proprio l’aforisma dello storico Leopoldo von Ranke: “I periodi felici dell’umanità sono i fogli in bianco nel libro della storia” N.d.R.].


L’avanzata degli alleati.     (12)


   La marcia di avanzamento non è più facile come le settimane precedenti, perché le dorsali ravvicinate di rilievi lungo i lati del Tevere favoriscono la difesa dei tedeschi, schierati sulle alture con la 114 Divisione Jaeger, comandata dal Generalleutnant Hans Bolsen, subentrata dal 17 giugno alla 44 Divisione Fanteria.

   Gli alleati sono avanzati verso Massa Martana, Osteria del Bastardo, Foligno, Assisi, Bastia.

   “La Decima Divisione indiana ha avuto l’ordine di avanzare ai due lati del Tevere, nel cuore delle montagne, considerando che la larghezza media della valle sopra Perugia non supera il miglio.

    Anche le valli laterali non sono particolarmente lunghe o larghe: risalendole, svaniscono presto in gole coperte di boscaglie, superabili solo dalle capre. Le due strade di valle, che si snodano lungo entrambe le rive, seguono i meandri del fiume.

   Ad intervalli di poche miglia, sorgono cittadine cresciute intorno a vecchi castelli e fortificazioni, di solito in corrispondenza di anse del fiume. Nelle cime e nelle selle sono abbarbicati piccoli villaggi: grappoli di casupole ammucchiate intorno alle chiese, con torri e campanili che consentono di scrutare la vallata per diverse miglia.

    Le messi sono state raccolte ed i frutti, di cui la zona è famosa, sono ancora acerbi. Nei boschi si tagliano tronchi di pini, faggi e larici da portare a valle alle prime nevi”.



Una lettera verso la Germania.                       (13)


   Da Gubbio l’ufficiale medico tedesco Kurt Staudacher scrive alla moglie:

   “Dalle giornate terribili di Pontecorvo siamo ancora in ritirata. Si dovrebbe andare in direzione di Firenze, ma il percorso cambia di ora in ora.

   Da più di un mese non ricevo più posta da te e questo a volte è peggio del fuoco tambureggiante perché vivo nella preoccupazione di cosa possa succedere a casa.

   Non ti voglio descrivere come a volte la nostra situazione sia veramente miserabile, a tutto si può sopravvivere per un po' di tempo. Sono proprio curioso di vedere come sarà la nostra vittoria finale.

   In 4/6 giorni dovremmo arrivare al nostro accampamento e allora ti scriverò una lettera più dettagliata. Questa la consegno a un turista che la spedirà da Vienna.

   Scusa la scrittura frettolosa, ma qui scarseggia sia il tempo sia la carta. Le giornate sono sempre più insopportabilmente calde, per fortuna marciamo durante la notte.

   Per la nostra grande gioia e svago, ci sono ora delle ciliegie magnifiche! Il successo di tante mangiate si è oggi palesato sotto forma di una diarrea.

   Cara Erika, ti dirò di più poi. Ho pensato sempre a Peter e gli ho comprato tre paia di ciabatte, che presto voglio spedire a casa.

   Per oggi, tanti cari saluti e baci, mia adorata e tanti saluti ai tuoi genitori.

Il tuo innamorato Kurt”


20 giugno


Perugia liberata.                                     (8)


   Con un attacco a tenaglia dal Monte Lacugnano e Monte Malbe, gli alleati sono entrati in Perugia.


Posizione del nemico.               (10)


   Dei civili hanno riferito agli alleati che i tedeschi hanno lasciato Perugia la notte scorsa in direzione di Umbertide, essendo già stata tagliata la strada Perugia – Arezzo.


Attentato a Gubbio.          (14)


   Nel pomeriggio, in un clima euforico e confuso, nell’illusione che fosse facile liberare la città dall’esercito tedesco, un gruppo di partigiani – con i loro capi a cavallo – è sceso verso la città dagli stradoni del monte Ingino.

    Una pattuglia Gap (Gruppi di Azione Patriottica) aveva ricevuto l’ordine di recarsi in località Mocaiana, dove due o tre soldati tedeschi stavano facendo azione di saccheggio ed incutevano terrore alla popolazione.  I partigiani invece iniziavano il pedinamento in città di due ufficiali tedeschi, che si è concluso nel bar Stafissi con l’uccisione di uno (Kurt Staudacher) e il ferimento dell’altro (Hermann Pfeil).


   Mentre gli attentatori scappavano verso il monte, l’ufficiale ferito è riuscito a farsi strada con la pistola in pugno e a raggiungere il proprio comando.

   La reazione è stata immediata: il battaglione tedesco, presente nella zona, ha piazzato cannoni, mitragliatrici, iniziando un’intensa sparatoria verso il monte e verso diversi palazzi cittadini. Allo stesso tempo hanno dispiegato il rastrellamento, prendendo in ostaggio gli uomini che incontravano o che trovavano nelle abitazioni.   Verso sera sembrava che la rappresaglia fosse stata sospesa, dopo che il vescovo, mons. Beniamino Ubaldi, recatosi presso il comando tedesco situato presso l’Albergo S. Marco, aveva cercato di far ricadere su elementi slavi la responsabilità dell’uccisione del tenente medico. Al momento ha ricevuto dal comandante tedesco l’assicurazione che sarebbero stati sospesi i rastrellamenti e l’azione conseguente, purché non si fossero verificati altri incidenti.



Immgine n. 4: Gubbio, corso Garibaldi.



21 giugno


I rastrellamenti a Gubbio.        (14)


   Ma non è stato così. Qualche ora dopo, la situazione è precipitata. Nella notte sono ripresi i rastrellamenti. Sono stati presi uomini e donne, giovani e meno giovani, alcuni rilasciati dopo interrogatori sommari, altri trattenuti. In quaranta sono stati tenuti in ostaggio nell’edificio delle Scuole elementari di via Perugina.

   Nel corso della giornata il vescovo Ubaldi è di nuovo intervenuto presso il comandante tedesco. Resosi conto della tragedia che stava per abbattersi sulla popolazione eugubina, non ha esitato a offrire se stesso pur di salvare gli ostaggi e la città, ricevendone un rifiuto sprezzante.


22 giugno


Rappresaglia a Gubbio.                         (14)


   All’alba di questo giovedì, in una città desolatamente deserta perché terrorizzata dal coprifuoco e dai rastrellamenti dei giorni precedenti, 40 cittadini innocenti, tra cui due donne, sono stati trucidati per rappresaglia da un plotone di esecuzione della 114 Jäger Division: legati come bestie da macello affinché non potessero fuggire, sono stati abbattuti con scariche di mitra nella fossa che erano stati prima costretti a scavare. Poi sono stati finiti a colpi di pistola e ricoperti appena con qualche manciata di terra.


LE VITTIME


Allegrucci Giuseppe, anni 34; Baldelli Carlo, anni 34; Baldoni Virgilio, anni 38; Bartolini Sante, anni 55; Battaglini Enea, anni 20; Bedini Ferdinando, anni 39; Bedini Francesco, anni 50; Bellucci Ubaldo, anni 34; Cacciamani Cesare, anni 52; Cacciamani Enrico, anni 50; Cacciamani Giuseppe, anni 19; Farabi Gino, anni 39; Felizianetti Alberto, anni 23; Gaggioli Francesco, anni 17; Ghigi Miranda, anni 30; Ghigi Zelinda, anni 61; Lisarelli Alessandro, anni 23; Marchegiani Raffaele, anni 57; Mariotti Ubaldo, anni 18; Migliarini Innocenzo, anni 40; Minelli Guerrino, anni 27; Minelli Luigi, anni 42; Moretti Franco, anni 21; Moretti Luigi, anni 22; Pannacci Gustavo, anni 36; Paoletti Marino, anni 30; Piccotti Antilio, anni 41; Pierotti Francesco, anni 40; Profili Guido, anni 54; Rampini Raffaele, anni 43; Rogari Nazzareno, anni 50; Romanelli Gastone, anni 17; Roncigli Vittorio, anni 38; Roselli Luciano, anni 23; Rossi Domenico, anni 41; Rossi Francesco, anni 49; Scarabotta Enrico, anni 36; Sollevanti Giacomo, anni 18; Tomarelli Luigi, anni 61; Zizolfi Giovanni, anni 23


Immagine n. 5: Dipinto di Antonio Renzini - Eccidio di Gubbio del 22 giugno 1944 : i 40 martiri.


Reazioni nella città di Gubbio.  (15)


   La comunità cittadina, già prostrata dalla guerra e dal gran numero di morti, è rimasta sconvolta e subito si è divisa nell’attribuzione delle responsabilità della “Strage dei Quaranta Martiri”: sono stati accusati, da un lato, il movimento partigiano eugubino, e, dall’altro, qualche fascista ritenuto responsabile di delazione.

   [Esaustivi approfondimenti antecedenti l’eccidio e sugli sviluppi della vicenda fino al 2004 sono contenuti nel volume: Luciana Brunelli, Giancarlo Pellegrini

Una strage archiviata – Gubbio 22 giugno 1944

Il Mulino, 2010]



Immagine n. 6: Copertina del libro di Giacomo Marinelli Andreoli, "Nel segno dei padri: La storia di Guglielmina e Peter". L'incontro dopo 70 anni dall'eccidio dei "40 martiri" dei figli di una vittima ed di un soldato della Wermacht


23 giugno


A caccia di partigiani.                               (27)


   Questa notte i tedeschi sono andati in cerca dei partigiani, perché il giorno innanzi un tedesco, caduto nell’Assino perché ubriaco, era stato trovato morto. Vedendo sul davanzale un fagotto contenente un prosciuttino, hanno pensato che fosse stato preparato per i partigiani. Sono entrati più inferociti che mai e hanno cominciato a urlare: "Partigiani? partigiani?"


Disertori tedeschi.


   Ospedalicchio, in località Ca’ d’Egidio: nell’imminenza dell’arrivo degli alleati, due tedeschi disertori hanno chiesto abiti civili e bruciato le loro uniformi.

Testimonianza di Corrado Bucaioni


Militari umbertidesi morti.                            (30)


   Alunni Esposito Settimio, deceduto in prigionia.


Decesso all’ospedale di Umbertide     (30)


È morto Betti Angelo per ferite all’addome da schegge di granata in località “lo Scritto”.

Archivio Comunale Umbertide, Ricerca di Massimo Pascolini.


23 giugno


Un attentato a Serra Partucci.                                    (8)


   “Un giovane della campagna al Castello di Civitella aveva notato che un soldato tedesco in motocicletta passa ogni mattina per la strada provinciale proveniente da Gubbio. È soprattutto la motocicletta ad attirare la sua attenzione: è da giorni che sogna di averla.

Gli alleati sono entrati tre giorni fa a Perugia: dunque è questione di poco, forse di ore, la partenza dei tedeschi dalla nostra zona.

   Ha deciso di far fuori quel giovane, che ogni giorno passa da solo, e nascondere la moto nel bosco per riprenderla con calma quando si saranno calmate le acque. In questo clima concitato, al Comando germanico non si accorgeranno subito della scomparsa di un soldato; quando lo scopriranno, difficilmente potranno avere tempo e modo per cercarlo.

   Si è appostato dietro le piante ai margini del bosco che sovrastano il Ponte Grande, dove la curva stretta costringe a rallentare. Ha atteso che il soldato arrivasse da Gubbio. Ha sparato verso il bersaglio quando la motocicletta ha affrontato la curva sul tornante; ma l’ha solo ferito ad un piede.  Il motociclista si è buttato lungo il versante scosceso che porta verso la piana dell’Assino; l’attentatore è fuggito in direzione opposta, verso la sommità della collina”.

Fig.n. 7: Disegno di Antonio Renzini. L'attentato ad un soldato tedesco a Serra Partucci.


Rappresaglia a Serra Partucci.                                 (8)


   “La ricorrenza di San Giovanni Battista, a Serra Partucci è considerata festa patronale.

   Dal Comando tedesco di Pian d’Assino, un piccolo reparto di una quindicina di soldati, guidato da un ufficiale tedesco, si è messo in marcia, per eseguire la rappresaglia per l’attentato di ieri. Procedono a piedi nel buio, in modo da sorprendere le vittime predestinate nel sonno, prima che possano spargersi per i lavori nei campi. Nel casolare dei Radicchi prelevano i figli, Mario e Peppe, che sono ancora a letto.

   Proseguono verso il Vocabolo Lago, dove abitano i Centovalli con alcuni sfollati. L’ufficiale ha ordinato di aprire. In casa erano tutti svegli, pronti per andare a mietere il grano in un campo vicino. I militari sono entrati. Hanno chiesto pane e lardo. Dopo essersi rifocillati hanno fatto uscire Natale, 30 anni, ed il fratello Quinto, 24.

   Mancava la quinta vittima per rispettare il rapporto di condannati per un tedesco ferito. Hanno deciso di andarlo a prendere nella chiesa di San Giovanni, in cima alla collina, dove è radunata tutta la gente della zona che assiste alla messa. Hanno scelto Domenico Černic, 26 anni, un bel ragazzone robusto dal viso gioioso. Lo sloveno è la sua lingua madre, ma parla bene anche l’italiano e il tedesco.

    Al ritorno dalla chiesa, il quinto prigioniero è fatto accostare agli altri rimasti nell’aia davanti a casa Centovalli sotto la minaccia dei mitra. I tedeschi vanno per le spicce. Hanno fatto allineare i cinque prigionieri lungo la parete nord dell’essiccatoio, a ridosso del margine del bosco.

    Fra di loro, Quinto è senza una mano, che ha perso nel trinciaforaggi. Domenico ha fatto notare ai tedeschi, esprimendosi nella loro lingua, che in quelle condizioni mai avrebbe potuto sparare ad alcuno. I soldati si sono scambiati brevi frasi. Guardano intorno in cerca di un sostituto, ma non c’è nessun. Proprio in quel mentre, stava passando un ragazzo di vent’anni, Bruno Ciribilli, appena diplomato alle magistrali ed in procinto di andare all’Università. Diventa così il quinto condannato.

    I condannati sono stati fatti allineare lungo al muro, con le spalle verso i soldati. Subito dopo, all’improvviso, l’ufficiale ha fatto un cenno rapido con il braccio, senza proferire parola. Secche, inesorabili, sono partite raffiche di mitra. Dopo qualche attimo, cinque colpi danno il colpo di grazia, ristabilendo il silenzio.


   Senza indugio, il manipolo dei soldati si è dileguato rapidamente, quasi di corsa. Sono le sette. Missione compiuta!”


LE VITTIME


   Natale Centovalli, anni 30; Domenico Černic, anni 26; Bruno Ciribilli, anni 20; Giuseppe Radicchi, anni 17; Mario Radicchi anni 24.


[Esaustivi approfondimenti antecedenti l’eccidio di Serra Partucci e gli sviluppi della vicenda fino al 2001 sono contenuti nei libri:

Mario Tosti, Cinque cipressi, 24 giugno 1944, Rappresaglia a Serra Partucci, Digital Editor, 2014;

Domenico Černic e Daniele Černic. Due fratelli in un diario, a cura di Jožica Černic e Mario Tosti, Digital Editor, 2014]




Fig. n. 8 : "L'esecuzione". Dipinto di Antonio Renzini sulla strage di Serra Partucci.



Tentativo di stupro.              (11)


    Domenica Floridi, rinchiusa da un soldato tedesco in una camera, è riuscita a fuggire da un tentativo di violenza.


25 giugno


Fucilato un ragazzo.

   A Pitigliano un ragazzo aveva mostrato disapprovazione verso dei tedeschi che stavano sparando a delle galline. L’hanno portato via e fucilato. È stato sepolto al cimitero di Cerbara.

Testimonianza di Don Pietro Bartolini


26 giugno


Gli alleati avanzano.                     (12)


   Le truppe alleate, arrivate da Venafro dopo l’addestramento, hanno facilmente ripulito dal nemico la strada da Ponte San Giovanni a Bastia. Ben più complicato è stato snidarlo dai rilievi di Ripa, che costituiscono la porta d’accesso all’Alta Valle del Tevere. Dopo i due attacchi sferrati il 18 e 19 giugno, solo oggi la fanteria è riuscita a snidare il presidio, avvalendosi dell’appoggio dei carri armati, che hanno cannoneggiato la zona per diverse ore.   

   I tedeschi hanno registrato 300 perdite, fra morti e feriti.

   L’Alta Umbria è presa fra le difese tedesche e l’avanzata alleata.


27 giugno


Rappresaglia all’Aiola.              (6)


   Presso Petrelle, un gruppo partigiano ha fatto fuoco contro dei tedeschi che avevano appena razziato un cavallo con il baroccino. Due di essi sono morti, ma il terzo, ferito, è riuscito a ricongiungersi ad altri commilitoni.

    Venti contadini sono stati requisiti a S. Leo Bastia e condotti all' Aiola, dove si è intimato loro di minare la  fattoria e le case coloniche. I tedeschi le hanno fatto saltare dopo averci rinchiuso dodici contadini del posto, rastrellati dai campi circostanti mentre lavoravano.

   Sono morti anche altri coloni, colpiti da raffiche di mitra, mentre correvano di campo in campo per avvertire i contadini del rastrellamento in corso.


LE VITTIME

   Lescai Sante, Francesca Bistarelli, Cannicci Ferdinando, Paludini Agostino, Cascini Luca, Petremi Agostino, Donati Angiolo, Sassini Domenico, Donati Lorenzo, Trasenni Domenico, Ghezzi Antonio, Trasenni Guido, Lescai Angiolo, Zampagni Edoardo


27 giugno


Latte alle sentinelle tedesche


   Nella strada del Niccone verso il lago Trasimeno alcuni soldati tedeschi fanno la sentinella a un piccolo ponte nel punto in cui un sentiero porta al casolare al vocabolo Penetola, dove risiedono gli Avorio con alcuni sfollati. Uno dei figli di Mario, Antonio, ha portato il latte fresco delle vacche. I rapporti con i militari di sentinella sono molto buoni se non addirittura cordiali; al punto che uno dei soldati chiama mami la Dina, moglie di Mario. Insomma, non uno screzio, mai un gesto di intolleranza, niente che possa ingenerare sospetti od altro.


28 giugno


Massacro di Penetola.                         (9)


   “L’altro ieri alla Dogana, nella valle del Niccone, alcuni ufficiali tedeschi del Comando di Montalto erano arrivati a bordo di una macchina a casa Trinari, dove era di stanza una loro pattuglia

   Hanno chiesto a Dino, il capofamiglia, di indicare come si arrivava alla casa cerchiata di rosso sul una piantina che riportava tutti i casolari della zona: si trattava del podere Penetola, dove vive la famiglia di Bendino.

   Ieri, i tedeschi di stanza a casa Trinari hanno richiuso, in un essiccatoio per il tabacco a Molino Vitelli, tutti gli uomini che erano riusciti a trovare in zona, sostenendo che era stata ferita una delle sentinelle di guardia del ponte sul Niccone, sulla strada che dà sulla via di Sant’Anna, parallela a quella verso Mercatale, direzione Cortona.

    Dino Trinari, il padre e lo zio, sono stati chiusi nella stalla, ma rassicurati che non sarebbe accaduto loro niente. Successivamente sono arrivati gli ufficiali del giorno prima, a bordo della stessa macchina. Sono saliti al piano abitabile, spingendo avanti diverse donne sotto la minaccia delle armi. I loro uomini erano già stati spostati e rinchiusi nella scuola di Molino Vitelli, ignari di tutto e sotto la minaccia di essere giustiziati per un fatto che non avevano commesso.

   Verso mezzogiorno gli ufficiali hanno lasciato casa Trinari. I soldati hanno liberato gli uomini rinchiusi nella scuola, sostenendo che la sentinella ferita non era in pericolo di morte e quindi nessuno sarebbe stato ucciso per rappresaglia.

   La sera i soldati hanno cenato all’aperto, davanti a casa Trinari, con quanto razziato nei casolari dei dintorni. Dopo aver mangiato e soprattutto bevuto in gran quantità, i soldati hanno cominciato a fare confusione, fuori e dentro casa, tirandosi acqua, oggetti e distruggendo quello che trovavano a portata di mano.

    A mezzanotte passata, zaini in spalla, si sono avviati verso Niccone, evitando la via principale, ma percorrendo il sentiero nascosto ai margini del bosco che costeggia il torrente, fino all’aia di Penetola

Verso l’una, i soldati tedeschi, accompagnati da civili, di cui uno che parlava italiano, hanno bussato alla porta del casolare dei Bendini.

   Hanno svegliato le persone che dormivano, chi nelle camere del casolare, chi nel vicino annesso. Questi ultimi sono stati derubati dei propri averi e condotti dentro la casa con gli altri.

   Gli animali – buoi, mucche, maiali e pecore – sono stati fatti uscire dalle stalle sottostanti. Tutte le persone sono state rinchiuse nella stanza rivolta verso il bosco. I soldati, accatastato il fieno del pagliaio e del legname alle pareti della stanza e alle mura della casa, hanno appiccato il fuoco con della benzina.

   L'incendio è divampato immediatamente. La stanza è stata invasa da fumo e fuoco che ha aggredito anche la porta. Le persone hanno cercato di sfuggire alle fiamme rifugiandosi negli angoli più lontani. Hanno cercato di resistere alle esalazioni del fumo facendo annusare l'aceto contenuto in un contenitore che si trovava in cucina.

   Il figlio maggiore di Mario e Dina Avorio, Renato, di appena quattordici anni, è stato colpito quasi immediatamente da una granata mentre cercava di guardare fuori dalla finestra della stanza, perdendo completamente il braccio sinistro. Ha cercato di convincere la madre disperata a non pensare più a lui, ché  stava morendo dissanguato. Poi ha tentato la fuga dalla porta principale. Il suo corpo dilaniato dalle raffiche dei fucili è stato ritrovato sul pianerottolo in cima alla scala di accesso.

   I suoi due fratellini, Carlo e Antonio, sfuggiti al controllo dei genitori impegnati a soccorrere il figlio maggiore, hanno cercato la fuga dalle fiamme che, purtroppo, li hanno avvolti. I loro corpi sono stati ritrovati abbracciati, in gran parte carbonizzati, in un angolo della grande cucina.

   Il figlio diciottenne di Avellino Luchetti, Guido, ha tentato anche lui di guardare fuori dalla finestra: è stato colpito da una raffica di fucile alla testa ed è caduto a terra senza vita, ad un passo dalla cuginetta Maria, che lui stesso prima aveva cercato di tranquillizzare prendendola in braccio.


   Canzio, Edoardo ed Ezio Forni si sono calati da una finestra laterale, dentro il piccolo porcile. Giunti a terra, sono stati uccisi con colpi di arma da fuoco ravvicinati. Canzio è stato ritrovato riverso, il volto in parte consumato dagli animali; Edoardo, seduto sopra la mangiatoia; Ezio, poco lontano, tra l'erba.

   I corpi dei coniugi Milena Ferrini e Ferruccio Nencioni sono stati ritrovati vicino alla porta d'ingresso dell'abitazione, devastati dalle fiamme.

    Poco prima Ferruccio aveva aiutato il fratello Conforto a calare i propri familiari nella stalla delle pecore, attraverso un foro sul pavimento che lo stesso Conforto era riuscito a praticare. Ha fatto discendere anche la figlia Giovanna, chiedendole di aspettarlo, mentre sarebbe tornato indietro a riprendere la madre Erminia e la moglie Eufemia. Scoperti dai soldati, sono stati colpiti con raffiche di mitra. La piccola Giovanna, anche se ferita, si è salvata rimanendo nascosta sotto un carro nell'aia.

   La scala di accesso dell'abitazione è crollata. I superstiti sono rimasti intrappolati in casa. In mancanza di soccorsi, si sono calati da una delle finestre laterali utilizzando due lenzuola annodate. Coloro che erano in grado di farlo sono scappati attraverso i campi. Mario e Dina, gravemente feriti, si sono nascosti nel vicino fossato…

   Dina ha contato diciotto persone che si stavano allontanando in fila indiana percorrendo il sentiero che costeggia il bosco, gli zaini sulle spalle colmi degli oggetti rubati. Poco dopo, sporgendosi da una delle finestre laterali, ha scorto sulla collina, in direzione del Castello di Montalto, il proprietario del loro podere, ha cercato invano di attirare la sua attenzione.


    


Fig. n. 9: Disegno di Antonio Renzini sull'eccidio di Penetola.


  La sera si è presentato il compito di dare sepoltura alle vittime.    (9)


   Le autorità, viste le condizioni raccapriccianti dei cadaveri e la difficoltà di trasportarne così tanti, avevano proposto di seppellire le salme in una fossa comune. Ma i contadini e gli sfollati delle vicine case coloniche si sono opposti: hanno voluto trasportarli al cimitero di Montemigiano con carri trainati da buoi: un’azione di pietà che non potrà non lasciare tracce indelebili per tutta la loro vita!

   Solo dodici delle ventiquattro persone rinchiuse nel casolare sono sopravvissute: 11 superstiti appartengono alle famiglie dei mezzadri Avorio e Luchetti, nessun superstite tra le due famiglie degli sfollati Nencioni e Forni, tranne la piccola Giovanna.

    Più tardi, due soldati tedeschi hanno condotto i coniugi Avorio al Seminario di Città di Castello, adibito ad ospedale, dove sono arrivati alle ore 14,00, dopo aver percorso 20 chilometri sotto il pericolo dei bombardamenti alleati. Infatti, tutta la zona è occupata dalle truppe dell'esercito tedesco, ma lo spazio aereo sovrastante è da tempo sottoposto a terribili incursioni dell'aereonautica alleata, che colpisce senza sosta tutto quello che a terra somiglia ad un bersaglio da abbattere…

   Inspiegabile dunque, rispetto alle peculiarità delle stragi naziste, il gesto di quei soldati, chiaramente dettato da ordini superiori, che hanno dovuto rischiare la propria vita per salvare quella di Mario e Dina.

   È stato il rettore Mons. Beniamino Schivo [ in quel giorno compiva 34 anni e si è ricordato quindi bene la data. N.d.R.] a ricevere Mario e Dina, che i due soldati hanno scaricato davanti al portone del seminario definendoli “banditen” (partigiani), ma, nonostante ciò, soccorsi, e a che rischio!

   Nel primo pomeriggio i 18 soldati autori della strage hanno abbandonato la casa dei Trinari e si sono diretti a piedi verso Cortona, raggiungendo la parallela della via di Mercatale attraverso il sentiero di Sant’Anna.


LE VITTIME


Avorio Antonio, anni 11; Avorio Carlo, anni 8; Avorio Renato, anni 14; Forni Canzio, anni 58; Forni Ezio, anni 21; Forni Edoardo, anni 16; Luchetti Guido, anni 18; Nencioni Conforto, anni 36; Nencioni Eufemia, anni 44; Nencioni Ferruccio, anni 36; Nencioni Renzini Erminia, anni 68.

[Esaustivi approfondimenti antecedenti il massacro di Penetola e gli sviluppi della vicenda fino al 2009 sono contenuti nel libro: Paola Avorio, Tre noci, Petruzzi Editore, 2011


29 giugno


Orrori da entrambe le parti.                                 (8)


   Un gruppo di tedeschi, a cavallo ed a piedi, sono giunti alla casa di Orsini, vicina al cimitero, sotto la chiesa di Sioli, con l’intento di mangiare e dormire.

   Finita la cena, i soldati si sono messi a dormire, dopo aver costretto tutti gli altri a pernottare nel campo di granturco. È restato in casa solo il vecchio nonno paralizzato, immobile nella sua sedia.

    La mattina dopo, i familiari l’hanno trovato ammazzato.


   Un fatto analogo si è verificato nella stessa zona. Verso sera, alcuni tedeschi sono entrati in casa Smacchi, dove viveva una donna – la Palmina – di una cinquantina d’anni che da giovane, mentre si pettinava per recarsi in chiesa, per uno svenimento era caduta sul focolare, rimanendo incastrata con il viso fra due ceppi accesi. Ne era rimasta orribilmente sfigurata e cieca.

    Dopo cena, annebbiati dal vino  bevuto, un tenente, spacciatosi per medico, si è offerto di curare la donna. Ma era una macabra sceneggiata: condottala in una stanza, le hanno sparato. Quando la truppa si è  allontanata, i vicini hanno ritrovato la Palmina morta, avvolta in un lenzuolo sotto il letto.


   Quasi contemporaneamente, nelle vicinanze, un gruppo di soldati ha violentato a turno una giovane, bloccata sopra la treggia in mezzo ad un campo.

   Purtroppo, anche la gente del posto non ha perso occasione per non essere da meno, compiendo atti barbari. Vicino al cimitero di Camporeggiano, un tedesco è stato aggredito da un gruppo di italiani: l’hanno finito a colpi di pietra verso il fosso del Lana, occultandone il cadavere nel bosco, dopo averlo depredato di orologio, stivali ed armi.


Nella zona dei Bizzi, vicino a Promano, un tedesco aveva preso familiarità con una famiglia di contadini. Ma, nell’imminenza dell’arrivo degli alleati, è stato sgozzato con il rasoio mentre si lasciava radere la barba, per essere poi seppellito nel letamaio.


Morti umbertidesi.     (30)


   Baffetti Domenico, per schegge di granata.

   Sonaglia Gaudenzio, di anni 78, ucciso per rappresaglia con colpi di rivoltella. È stato sepolto a Santa Giuliana.


L'abitato di Niccone è stato bombardato dagli alleati. (9)


Requisizione del carro funebre.               (23)


   I tedeschi hanno portato via il carro funebre della Confraternita dei Priori di Montecorona.

   Ogni mezzo con le ruote può essere utile per la ritirata.


La natura reclama.                                        (8)


   Nonostante tutto, ci si sforza di condurre una vita normale, specialmente in campagna. L’impone la natura che non è distratta dalla barbarie degli uomini.

   Ad Umbertide, sulla piana, di consuetudine si miete prima di  San Pietro. Ma quest’anno non si è neppure cominciato: un po’ per la paura di stare all’aperto, col rischio di essere mitragliati; un po’ perché i campi sono stati devastati da carri armati, gipponi, soldati. Praticamente il raccolto è andato perso.

    Invece, in collina, c’è meno pericolo: si cerca di raccogliere il grano nei campi esposti ad est, dove è più maturo, perché le bocche degli sfollati da sfamare sono aumentate a dismisura e le scorte del raccolto precedente sono agli sgoccioli.

    È necessario programmare l’utilizzo delle ridotte braccia da lavoro a disposizione, anche se le donne non sono da meno dei maschi; anzi, a gara di velocità a mietere, vincono sempre loro. Quest’anno sono particolarmente veloci, perché nessuno ha voglia di cantare e  nelle poche zone dove si miete, il tradizionale scambio di manodopera è molto intenso.

    Si devono arare i campi; si fa a gara nel tracciare i solchi diritti senza dover mettere i paletti sul campo come guide.

      Gli sfollati si sono adattati alla nuova condizione, che offre la possibilità di conoscere mondi finora separati. Hanno imparato a falciare, mietere, guidare la treggia con i buoi per andare a prendere l’acqua nella spianata sotto il colle. Collaborano a cucinare, scambiandosi esperienze.


Aurora boreale.                                        (28)


   “Dalla clandestinità alla macchia ho visto un’aurora boreale, di cui non avevo mai sentito parlare. Assicuro di non aver sognato”, così racconta Giulio Fanelli.

La natura si prende la rivincita, offrendo uno spettacolo estasiante che cancella l’angoscia dei bengala, quando squarciano la notte alla ricerca del nemico.

Numero di vittime nel corso del mese di giugno. (6)


Militari: 3

Civili: 21




Nb: Per quanto riguarda le indicazione bibliografiche, sono indicate dai numeri tra virgolette che rimandano alla" bibliografia" o ad approfondimenti specifici.



Galleria

bottom of page