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Umbertide

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Una giornata all'asilo Regina Elena

Dai ricordi personali di Gianna Feligioni

Dai ricordi personali di Gianna Feligioni

Potevano venire all'asilo solo i bambini del centro del paese, dato che, non esistendo mezzi di trasporto, per quelli del circondario sarebbe stata un'impresa percorrere a piedi la distanza, specialmente nella brutta stagione; ma anche per quelli più vicini non era uno scherzo affrontare con gli zoccoli la malta e le pozzanghere, potendo solo i più fortunati contare sugli scarponcini, con l'immancabile protezione delle bullette messe in fila sul sotto della suola per prolungarne la durata.

Andavamo accompagnati fino alla porta, portando i cestini di vimini con la merenda, che mettevamo a posto, uno accanto all'altro, in un piccolo stanzino che era pervaso da un profumo particolare. Ma l'odore inconfondibile ed indimenticabile - un misto di miele, formaggio, mortadella, pane fresco - era frutto della mescolanza di grandi differenze: i cestini della povera gente con l'ombra del companatico e dei bambini più agiati, con pane bianco, prosciutto... e persino la frutta "compra".



Eppure allora non notavamo le diversità, che accettavamo come normali, accontentandoci di quello che c'era: eravamo bambini allegri, sereni. Solo alle elementari avremmo dovuto notare, nel subirle, le umiliazioni delle parzialità e delle discriminazioni di censo.

La maestra Marietta ci faceva cantare canzoncine, guidandoci con un bastoncino che faceva dondolare con la destra al ritmo della musica; ma che non disdegnava di abbattere implacabilmente sulle dita di chi si distraeva; specialmente d'inverno, quando le manine erano gelate, la bacchetta che calava improvvisa faceva un dolore tremendo.


Ma nessuno si scandalizzava per quei rimproveri un po' bruschi e tra le lacrime si continuava a cantare: "Andiamo a tavola compagne care / questa è l'ora di desinare / tutto è buono, tutto ci piace / quando si desina in santa pace... ".

Più spesso si cantavano canzoni fasciste, con tutta normalità, come se si trattasse di musica leggera.

Ed alla mensa era festa davvero uguale per tutti, a base di riso con le patate, boconotti, con rare apparizioni di carne: la minestra della Ida e della Lucia - le bidelle - era molto più buona di quella che si mangiava a casa. La specialità della casa era la zuppa con i fagioli, che veniva accolta con allegria ed avidità nel lungo refettorio con le finestre sul giardino. Quando capitava la direttrice, la cui severità era inversamente proporzionale alla mole del suo minuscolo corpo, si diffondeva un'atmosfera di grande apprensione: lei era tremenda e noi tutte spaurate. Ci faceva centellinare anche i giochi: nonostante fossero in dotazione, i cubi di legno ed altri semplici ausili venivano utilizzati raramente, come se fossero l'oracolo. Alle quattro del pomeriggio ci venivano a riprendere, per ricondurci a casa, lungo i vicoletti pavimentati di pietre di fiume, dove rimbombavano i passi con le scarpe chiodate o gli zoccoli. E nelle nostre povere case sfogavamo la vitalità repressa giocando con quello che c'era: allora le sedie diventavano, per i maschi, cavalli e carretti che scorrazzavano intorno alla tavola, mentre per le femmine si trasformavano in tutto quello che serviva, alimentando i sogni della fanciullezza che stava fuggendo.


Pubblicato su “Umbertide Cronache n.3 - 2002”


24/10/25

Una giornata all'asilo Regina Elena
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