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Amblé Sonaglia

IL POETA DEI CHIODI (Amblé Sonaglia)

IL POETA DEI CHIODI (Amblé Sonaglia)

Il ricordo affettuoso di Amedeo Massetti del geniale artista che sapeva trasformare i chiodi in opere d’arte


Amblé Sonaglia


I cinque o sei concitati suoni di campanello annunciavano che sotto c'era Amblé per chiamarti a gran voce dalla strada chiedendoti notizie e darti appuntamento a tra poco al bar Giardino o a casa sua. E a qualsiasi ora del giorno (e della notte) rischiavi una scampanellata selvaggia mentre eri sotto la doccia se aveva voglia di salutarti.



Quando tornava da Roma, Amblé metteva in subbuglio l'intero rione col suo chiasso festoso. Tutti i vicini erano informati del suo arrivo e che per qualche giorno sarebbe stato a Umbertide.

Lo vedevi passare sempre con qualcosa tra le mani, col suo passo ondeggiante, il giacchetto alla vita e il berretto con visiera (nostalgia della divisa militare) con qualche distintivo che gli ricordava l'aeronautica, l'Arma Azzurra nella quale era stato quarant'anni.



Se ti fermavi a parlare con lui, eri interrotto ogni momento dal suo continuo chiamare e salutare le persone che passavano, e quando ti descriveva con frenetico entusiasmo l'ultima opera, ti mitragliava parole come raffiche intermittenti di una vecchia "Safat" di aeronautica memoria.

Amblé Sonaglia (Amblé era il suo nome vero e non d'arte come molti credevano) era nato al Niccone nel 1920. Aveva avuto in famiglia una profonda educazione religiosa dal nonno Benedetto. Orfano del padre a dieci anni, lo zio prete (il grande don Serafino Rondini di Pistrino) lo mise in collegio per farlo studiare, ma il ragazzo ingegnoso e irrequieto non perdeva occasione per fuggire rifugiandosi a casa degli zii Eugenio, Andrea e Dante, fino a quando il sacerdote si rassegnò.



Arruolato in Aeronautica aveva partecipato alla seconda guerra i mondiale in Africa e in Sardegna, poi nel 4° Stormo inserito nella Balcan Air Force durante la Guerra di Liberazione nelle basi di Lecce e Palata.




Non sapeva che sarebbe diventato un artista famoso quando, giovane aviere, percorreva a piedi più volte la settimana i cinque chilometri dall'aeroporto di Campo Marino (Termoli) a San Martino in Pensilis per incontrare Raffaela, la bella fanciulla timida e buona che stravedeva per lui. Si erano scritti sei pacchi di lettere. La sua vocazione si era manifestata pienamente quando ormai gli spuntavano i primi capelli bianchi, assorbendo totalmente la sua vita. Aveva iniziato a comporre sculture con una tecnica originalissima, utilizzando i chiodi, esclusivamente chiodi, di diverse forme e dimensioni, a volte antichissimi, piegati e saldati insieme a formare soggetti che, pur nella scarnezza ed essenzialità della materia, riescono a trasmettere una rara forza plastica e una straordinaria dolcezza espressiva.



Le sue opere sono sparse in tutto il mondo. Numerose, in Vaticano: la "Madonna di Loreto" la consegnò nelle mani di Giovanni Paolo II nell'elicottero che lo trasportava in visita a Norcia. "L’apertura della porta santa" "è il tesoro più grande in casa mia" a giudizio dell'anziana madre di Jimmy Carter. Donò personalmente "Il cristo crocefisso" alla moglie di Martin Luther King, Coretta. Sono famose le sculture che impreziosiscono l'altare di Sant'Antonio a Padova, la "Via Crucis" nella chiesa di San Pòlicarpo a Roma, i monumenti agli aviatori a Castiglione del Lago e Umbertide, il monumento all'Emigrante ad Avellino. Gran parte delle sue opere, soprattutto di carattere religioso, sono raccolte nella basilica di Canoscio. Pochi giorni prima di morire ha donato cinque sculture alla sua città.



Una profonda fede ha animato tutta la vita di Amblé. La sua più grande gioia è stato il conferimento dell'onorificenza di Commendatore di San Gregorio Magno. Appresa la drammatica sentenza sulla sua salute, aveva reagito con naturale rassegnazione pur impegnandosi con tutte le forze per curarsi. Si sottoponeva con serenità alle terapie, cercando di sdrammatizzare la quotidiana dolorosa iniezione che Manlio gli praticava sulla schiena.

Era rasserenante - la malattia l'aveva già molto indebolito - ascoltarlo la sera quando si distendeva vestito sul letto. Discorreva lento, pacato, come a se stesso. Le mani dietro la nuca, i gomiti allargati sul cuscino, lo sguardo rivolto verso l'infinito, parlava della sua malattia. Ma faceva ancora tanti progetti.



"Voglio andare qualche giorno al monastero di Poti, l'aria mi farà bene". "Quando sto meglio, ti faccio quel contrabbasso con i chiodi".

Poi il ricovero all'ospedale di Umbertide, dove si trovava benissimo. "Sorella, qui si mangia meglio che all'Hilton!" (All'Hotel Hilton, a Monte Mario, aveva una mostra permanente di alcune sculture). Una fila continua di persone andava a trovarlo e lui dimenticava di star male e ritirava fuori tutta la sua chiassosa esuberanza. Sembrava di essere nel salotto di casa sua.

La sera in cui sentì che non ce l'avrebbe fatta, mandò a chiamare gli amici per salutarli. Aveva nascosto tutto, fino all'ultimo, sulla sua vera malattia a Raffaela.


Sulla sua tomba, preparata da anni, aveva scritto a lettere d'argento: "Non c'è arte senza miseria, senza amore, senza follia".


                                                                                                                        Amedeo Massetti



Dal calendario di Umbertide 1999 – Mese Febbraio


Foto: Amblé Sonaglia – Famiglia Tonanni – Internet “Beni ecclesiastici in Web”

15/10/23

Amblé  Sonaglia
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